Non serve assumere integratori in gravidanza, dal momento che la dieta mediterranea contiene tutte le sostanze nutritive necessarie allo sviluppo del feto, oltre che a garantire la salute della mamma.
A confermarlo è la ginecologa Alessandra Kustermann nel corso di un incontro organizzato all’Expo di Milano. La dott.ssa Kustermann spiega: “la dieta mediterranea contiene tutti i nutrienti di cui ha bisogno una donna incinta. Se si segue una dieta completa l’uso estensivo di pillole e integratori durante la gravidanza non ha alcun fondamento scientifico. È un errore indotto dalla pubblicità, così come la convinzione della necessità di pulire ossessivamente frutta e verdura con disinfettanti”.
L’unica eccezione è rappresentata dall’acido folico, che aiuta a prevenire alcune malformazioni congenite del feto: “è l’unica precauzione di questo tipo che consiglio anch’io. In Italia, ogni l’incidenza di queste malformazioni non è alta, come invece accade in alcune popolazioni della Gran Bretagna e in Ungheria. È importante non farsi condizionare dagli stereotipi veicolati dai media. Perché possono provocare disagi e addirittura depressione post-partum. I sensi di colpa materni possono nascere non solo dal proprio vissuto interiore, ma anche dalla percezione di una difficoltà di nutrire il proprio bambino”.
In ogni caso, adottare uno stile alimentare adeguato è la chiave per evitare problemi futuri al nascituro. Nutrirsi di cibi grassi e poco nutrienti durante la gravidanza, infatti, può provocare seri danni al bambino. Secondo una ricerca della Rockefeller University presentata durante il convegno annuale della Society for the Study of Ingestive Behavior, a Denver, mangiare il cosiddetto cibo spazzatura aumenta le probabilità che in futuro i bambini cedano con maggiore facilità al desiderio di alcol e sigarette.
I ricercatori americani hanno sottoposto alcuni topi a una serie di esperimenti, confrontando la propensione alla nicotina e all’alcol di topolini figli di mamme che in gravidanza avevano seguito una dieta a base di cibi grassi con quelli di altri topi femmine che avevano seguito una dieta sana.
Ne è emerso che i topi esposti a una dieta grassa prima della nascita hanno cercato di ottenere una dose di nicotina e alcol in misura maggiore rispetto ai topi esposti a una dieta sana.
Anche una ricerca della Southampton University, nel Regno Unito, pubblicata sulla rivista Diabetes, ha preso in esame le abitudini alimentari delle donne in attesa.
Il cibo spazzatura può causare alterazioni del Dna e predisporre il bambino all’obesità, anche se la madre non ha problemi di peso. Keith Godfrey, uno dei ricercatori, spiega: “la nutrizione della madre durante la gravidanza può causare importanti cambiamenti epigenetici che contribuiscono al rischio della prole di sviluppare l’obesità durante l’infanzia”.
In realtà, anche la costituzione della madre è importante per la salute del piccolo. Infatti, la mortalità neonatale aumenta in maniera significativa se la donna incinta è obesa. Ad affermarlo è una ricerca pubblicata sulla rivista Human Reproduction, che ha analizzato l’indice di massa corporea di oltre 40 mila donne in attesa, scoprendo che quelle che mostravano un Bmi (Body mass index) superiore a 30 trasmettevano al bimbo un tasso di mortalità di 16 ogni mille parti, dato che si dimezzava se il Bmi rientrava nella forbice 18,5/24,5.
Lo studio dell’Università di Newcastle ha dimostrato inoltre che la mortalità neonatale aumenta anche se la donna è sotto peso, evidenziando infine un indice di massa corporea ideale di 23. Ruth Bell, la coordinatrice della ricerca, spiega: “questo dimostra che è necessario dare tutto l’aiuto possibile alle donne per perdere peso prima della gravidanza e dare al bambino le migliori chance di vita”.
Del resto, una ricerca precedente del King’s College aveva già messo in luce i rischi legati ad un peso eccessivo. In questo caso ricercatori hanno analizzato i dati di 385 donne obese incinte del loro primo figlio, riscontrando che queste persone rischiavano di più l’eclampsia e le nascite premature rispetto a quanto avveniva per le gestazioni delle donne normopeso.
Scendendo nel dettaglio, le mamme “extralarge” hanno probabilità quasi doppie di partorire un bimbo sottopeso (meno di 2,5 kg alla nascita).
Come riporta la rivista “American Journal of Obstetrics and Gynaecology”, che ha pubblicato la ricerca scientifica, sono stati prelevati campioni di sangue da 208 donne, per compiere altre analisi.
Risultati ulteriori dello studio indicano che il 18,8% dei figli di mamme obese era sottopeso alla nascita, contro il 10% dei bebè di donne normopeso. Inoltre i tassi di pre-eclampsia sono risultati più alti nelle obese alla prima gravidanza (11,7%), rispetto a quelle che avevano già partorito (6%) e alle donne che rientrano nella norma (2%). Infine, i nati prematuri da signore troppo grasse sono risultati quasi il doppio della media nazionale inglese (11,9%).
Per Lucilla Poston, ricercatrice principale dell’indagine del King’s College Hospital e del St. Thomas’ Hospital, è inconsueto l’alto numero di nascite di bimbi sotto peso nella popolazione femminile obesa, dato che normalmente queste donne partoriscono figli in sovrappeso. La dottoressa ritiene preoccupante anche l’alto numero di casi di pre-eclampsia tra le mamme obese, essendo questa una grave complicanza della gravidanza, che può portare alla morte della partoriente o del bambino.
Tra i pericoli derivanti da un parto prematuro e da un basso peso alla nascita sono ricompresi possibili danni cerebrali del feto, difficoltà respiratoria, problemi nell’apprendimento e una notevole vulnerabilità alle infezioni.
L’eclampsia è una seria complicazione della gravidanza ed è caratterizzata da convulsioni. Normalmente si manifesta dopo sintomi associati alla preeclampsia, sebbene talvolta tali sintomi non si manifestino.
Le convulsioni posso manifestarsi prima durante o dopo il travaglio, benché casi di eclampsia si siano verificati ad appena 20 settimane di gestazione.
Nella maggior parte dei casi è accompagnata da ipertensione e da proteinuria. L’unico segno più evidente dell’eclampsia è una convulsione cosiddetta “eclamptica”, che si sviluppa in quattro fasi. Le pazienti con edema e oliguria possono andare incontro ad indebolimento renale o edema polmonare. Può essere preceduta da sintomi prodromici:dolore in sede epigastrica, stato confusionale, scotomi, cefalea ingravescente
La pre-eclampsia fa parte della cosiddetta gestosi, termine con il quale fino al 1988 si indicava una sindrome caratterizzata dalla presenza, singola o in associazione, di sintomi quali edema, proteinuria o ipertensione. Dalle iniziali delle parole inglesi di questi tre sintomi (Edema, Proteinuria, Hypertension) si era allora coniato l’acronimo EPH, con il quale si indicava la concomitante presenza di questa triade sintomatologica (gestosi trisintomatica). Venivano inoltre adoperati gli acronimi EH per indicare la presenza di edema ed ipertensione (gestosi bisintomatica di tipo EH) e PH per indicare la presenza di proteinuria ed ipertensione (gestosi bisintomatica di tipo PH). Infine si potevano contemplare le così dette gestosi monosintomatiche di tipo E, P, e H a seconda del sintomo riscontrato.
Poiché numerosissime casistiche raccolte nel corso degli anni dimostrarono l’aspecificità degli edemi (appannaggio di numerosissime gravidanze fisiologiche e perfino assenti in alcune forme severe di gestosi), si è deciso di modificare la denominazione della sindrome e di darne una definizione ed una classificazione più aderente alla realtà clinica, comprendendola nel più grande ambito dei fenomeni ipertensivi che possono interessare la paziente gravida.
(fonte google news)