Una piccola rivoluzione per le partorienti. L’ospedale Torregalli di Firenze ha avviato la sperimentazione di un nuovo protocollo che consente alle donne incinte di lasciare la degenza appena 6 ore dopo il parto. In questo modo, si incide in maniera positiva sulla disponibilità di posti letto e sui costi sanitari, evitando tra l’altro medicalizzazioni superflue.
Le «dimissioni precoci» ideate a Firenze emulano l’esperienza di Kate Middleton, che dopo aver dato alla luce la mattina del 2 maggio la secondogenita Charlotte, nel pomeriggio è rientrata a Kensington Palace insieme alla bimba. Il progetto pilota potrebbe presto essere esteso ad altri punti nascita della città, e molti ospedali sparsi per la penisola hanno già chiesto informazioni sull’organizzazione attuata dai colleghi fiorentini.
Ovviamente, la possibilità non può essere garantita a tutte le mamme. Per poter attuare il protocollo, infatti, sia la mamma che il neonato devono essere in condizioni di salute perfette, e la mamma deve aver avuto una gravidanza normale, portata a termine fra la 37esima e la 42esima settimana. Sono inoltre escluse in partenza le donne sottoposte a taglio cesareo. Le donne dimesse, comunque, non vengono lasciate al proprio destino: il giorno dopo il parto, un’ostetrica dell’ospedale si reca in casa della neomamma per visitare la donna e il bimbo, che tornano in ospedale due giorni dopo per un controllo obbligatorio.
Marco Pezzati, direttore del dipartimento materno infantile dell’azienda sanitaria di Firenze, spiega: «Finora abbiamo avuto una buona risposta e tutto è filato liscio, con allattamenti esclusivi al seno ben avviati e mamme felici dell’esperienza. Le richieste sono state molte, ma quelle soddisfatte poco più di una decina perché i requisiti molto restrittivi sono un bell’imbuto. Prima di allentarli vogliamo renderci conto se la procedura avviata regge bene. Rientra tutto in un percorso di umanizzazione della nascita: nelle situazioni in cui va tutto bene, sia la salute che la gestione del piccolo, non si vede perché non facilitare il ritorno a casa».
Questo tipo di progetto venne tentato anni fa anche dalla regione Piemonte, ma non se ne fece nulla in quanto richiede un’organizzazione molto complessa, che su larga scala presenta difficoltà spesso insormontabili. Il protocollo, infatti, mostra la sua efficacia nei centri non troppo grandi e con una buona rete di assistenza territoriale, ed è difficilmente replicabile nelle grandi città, come conferma a Repubblica Carlo Piscicelli, primario di Ostetricia e Ginecologia del Cristo Re di Roma: «Il limite nelle grandi città è l’organizzazione. A volte tenere in ospedale per controlli di routine è inutile, ma organizzare un team che possa farli a domicilio è complicato, noi non ci siamo mai riusciti».
(fonte Salute.it)