Gli scienziati della UCLA hanno sviluppato un nuovo promettente metodo per trattare i tumori ginecologici. L’approccio si concentra su una proteina chiamata p53 che è comunemente mutata nelle donne affette da carcinoma ovarico sieroso, la forma più letale di cancro dell’apparato riproduttivo. In molte donne, il cancro ovarico è già molto avanzato al momento della diagnosi e quindi difficile da trattare. La scoperta è il risultato di uno studio di tre anni co-diretto dal Dott. David Eisenberg e Sanaz Memarzadeh, membri della UCLA Jonsson Comprehensive Cancer Center. I risultati, che sono stati pubblicati online sulla rivista Cancer Cell, potrebbero in ultima analisi portare a nuove terapie mirate per molti altri tipi di cancro portatori di mutazioni di p53.
P53 è conosciuto come il “guardiano del genoma” – P53 impedisce alle cellule danneggiate di riprodursi bloccando la loro crescita fino a quando il danno non è stato riparato e nel caso in cui il danno non può essere riparato, promuove la morte cellulare. Ma le mutazioni, che si trovano nel 96% delle pazienti con alto grado di tumori ovarici sierosi, possono causare in p53 la formazione di grumi o “aggregati” che compromettono la normale funzione della proteina. Come risultato, le cellule danneggiate possono moltiplicarsi in maniera incontrollabile, portando allo sviluppo del cancro. Gli scienziati UCLA hanno sviluppato e testato un peptide chiamato ReACp53, che penetra le cellule tumorali e impedisce a p53 mutato di aggregarsi. La tecnica ripristina la normale funzione di p53, causando la morte delle cellule del cancro ovarico.
Aggregati sono 500 volte più sottili di un capello – “Il nostro laboratorio ha lavorato per 15 anni sugli aggregati di proteine amiloidi che causano malattie come l’Alzheimer e il morbo di Parkinson – ha commentato Eisenberg, che è anche professore di chimica biologica e un membro della UCLA-DOE Institute -. Questi aggregati sono organizzati come fibre 500 volte più piccole rispetto alla larghezza di un capello e rappresentano una vera sfida”. “Questo approccio è stato originariamente sviluppato per le malattie neurodegenerative e ora lo stiamo applicando alla terapia del cancro – ha spiegato Alice Soragni, del laboratorio UCLA di Eisenberg e primo autore dello studio -. Abbiamo identificato segmenti appiccicosi che causano in p53 i grumi, utilizzando un algoritmo che ha determinato la loro struttura e quindi progettato ReACp53 per bloccare questo processo. Questo può impedire alla proteina l’ aggregazione in modo che possa svolgere il suo lavoro e uccidere le cellule tumorali”.
Iisolate cellule tumorali e riprodotti piccoli tumori in una piastra di Petri – I “mini-tumori” sono estremamente utili per lo sviluppo di farmaci, perché riproducono fedelmente diverse caratteristiche del tumore originale. I risultati sono stati notevoli, con una significativa contrazione dei tumori”, ha detto Memarzadeh, che è anche professore associato di ostetricia e ginecologia e direttore del G.O. Discovery Laboratory al the Eli and Edythe Broad Center of Regenerative Medicine and Stem Cell Research. In un modello fisiologico, l’approccio non ha prodotto evidenti effetti collaterali e ReACp53 è stato ben tollerato. Più dell’80% delle donne con stadio avanzato di cancro ovarico ha esperienze di ricadute anche dopo ripetuti interventi chirurgici e più cicli di chemioterapia e questo nuovo approccio è efficace per curare la malattia e potrebbe essere un importante passo avanti nella prevenzione del cancro. Più di 15.000 donne ogni anno negli Stati Uniti muoiono a causa di tutti i tipi di cancro ovarico.
(fonte tiscali news)